Questa è una canzone di Alberto D'Amico (1), cantautore veneziano degli anni ’70, che però è stata conosciuta di più nell'interpretazione di Giovanna Marini(2). Racconta assai bene le condizioni orribili che il migrante è costretto a subire. oggi i migranti in cerca di sopravvivenza sono oggetto della nostra esclusione: per questo motivo abbiamo deciso di riproporla.  
(1) cantante e autore di nuove canzoni nato a Venezia nel 1943 da genitori siciliani. nel 1964 entrò a far parte del Nuovo Canzoniere Italiano con il quale partecipò alla realizzazione degli spettacoli «Tera e acqua», «Gorizia, una guerra», «La grande paura. settembre 1920. l’occupazione delle fabbriche». è stato fra gli animatori del canzoniere popolare veneto.
(2) nata a Roma in una famiglia di musicisti, Giovanna marini si diploma in chitarra classica al conservatorio di santa cecilia nel 1959 e si perfeziona con Andres Segovia. di seguito suona per qualche anno il liuto con il “Concentus antiqui” del maestro quaranta.
All’inizio degli anni sessanta incontra un gruppo di intellettuali fra cui Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, Roberto Leydi, Gianni Bosio e Diego Carpitella e scopre il canto sociale e la storia orale cantata. nel 1964 il “Bella ciao”, spettacolo di canto politico e sociale, dato a spoleto con grande scandalo per un pubblico molto chic e poco abituato, le dà la possibilità di cantare e raccogliere canti popolari in giro per l’Italia, nelle situazioni sempre incandescenti degli anni sessanta.
Partecipa allora alla storia del “nuovo canzoniere italiano” cantando con i gruppi formati per l’occasione da cantautori politici come ivan della mea, Gualtiero Bertelli, Paolo Pietrangeli, ma anche cantanti contadini come Giovanna Daffini (ne impara l’emissione vocale e il repertorio), il Gruppo di Piadena, i pastori di Orgosolo con il poeta Peppino Marotto (da cui impara l’arte del racconto, dell’improvvisazione) e da tanti altri cantori e cantastorie a cui deve sempre molto. con l’istituto Ernesto De Martino, Giovanna Marini porta avanti la raccolta di canti di tradizione orale e il loro studio e trascrizione, inventando a questo scopo un sistema di notazione musicale. questo suo lavoro di trascrizione e poi d’arrangiamento le permetterà in seguito di trasportare la memoria cantata sul palcoscenico.
continuando la ricerca musicale e il suo impegno negli spettacoli e iniziative del “Nuovo canzoniere” come per il “Ci ragiono e canto” di cui Dario Fo cura la regia, cresce il suo gusto del teatro, dell’affabulazione teatrale, dello stare in scena. E nel 1965 incomincia a comporre lunghe ballate che raccontano la sua esperienza e che interpreta sola in scena accompagnandosi con la chitarra non avendo la possibilità di usare altre voci ed altri strumenti: da “vi parlo dell’america” nel 1965 all’ “eroe” nel 1974.
Nel 1974, con un gruppo di musicisti anch’essi provenienti da percorsi non tradizionali, fonda la scuola popolare di testaccio a Roma. trova finalmente musicisti con cui suonare: Giancarlo Schiaffini, Michele Iannaccone ed Eugenio Colombo, per i quali scrive – oltre che per cinque voci – “La grande madre impazzita”nel 1979. da quel momento affronta la scrittura per strumenti e voci: “Il regalo dell’imperatore” nel 1983, opera per banda, coro, solisti e percussioni; il “Requiem” nel 1985 per due cori, contrabbassi, ottoni, fagotto, due archi solisti e voci liriche e l’oratorio “La déclaration des droits de l’homme” per il bicentenario della rivoluzione francese nel 1989.
 
Ballata dell’emigrazione

Quel giorno che so’ andato a settentrione,
l’hai maledetto tanto moglie mia,
peggio però la disoccupazione
che dalla nostra terra non va via.

La Svizzera ci accoglie a braccia chiuse,
ci mette un pane duro dentro in bocca.
Tre anni l’ho inghiottito ‘sto paese,
tre anni carcerato alle baracche.
 
Alla periferia in mezzo ai fossi
siamo quaranta uomini e una radio,
se vado al centro a fare quattro passi,
le strade sono piene, piene d’odio.

Lo sfruttamento è calcolato bene,
ci carica fatica ogni minuto:
è un orologio di gran precisione,
la Svizzera cammina col nostro fiato.
 
Son ritornato a maggio per il voto
Falce e martello ho messo all’elezione
noi comunisti abbiamo guadagnato
ma ha vinto la ruffiana del padrone.
 
Padroni sulla terra ci volete
per fare fame e fatiche tante,
ma verrà il giorno che la pagherete
e che non partirà più un emigrante.

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